Oggi parliamo di qualcosa che sembra semplice, ma semplice non è: gli scarichi. La MotoGP è un mondo di tecnologia spinta al limite, di materiali esotici e costosissimi. Aerodinamica (ne ho parlato in una serie di 3 articoli 1, 2, 3), motori da ormai circa 300 cavalli per un litro di cilindrata, gomme con un grip pazzesco. Gli scarichi saranno qualcosa di semplice, alla fine è un tubo che fa uscire i gas di scarico, no?
Beh, non esattamente.
Innanzitutto partiamo dal fatto che sono tra le componenti costruite da aziende specializzate, e non dai costruttori. Proprio come i cerchi, vi è un ristretto gruppo di produttori superspecializzati, il che fa capire che dietro vi sia della tecnologia e dell’expertise molto avanzate e settoriali.
Gran parte degli scarichi è prodotto ormai da Akrapovic, che ha sede in Slovenia, ed ha storia relativamente recente, essendo fondata nel 1990 ed essendo divenuta nota nel decennio successivo.
Con una forte spinta alla ricerca e una presenza aggressiva sul mercato si è imposta su altri marchi, mentre la sola Aprilia usa SC Project, un marchio italiano ancora più recente, fondato nel 2005. Marchi più storici come Termignoni e Yoshimura o Arrow sono “fuori dal giro” per quanto riguarda la MotoGP.
Bene, ma come è fatto un sistema di scarico? Partiamo dai materiali, una parte critica è quella del collettore che si inserisce nel condotto di scarico della testata. È una parte che deve essere progettata e lavorata per avere un raccordo perfetto, e una forma che favoisca il flusso non turbolento dei gasi di scarico. Poi segue un tubo chiamato “primario” che incanala i gas indietro e subisce il massimo shock termico nell’uso, e il tubo “secondario” che si raccorda poi al terminale.
Questi tubi sono costruiti in titanio, con spessori tra 0.6 e 1 millimetro, mentre per i raccordi è usata una lega ad alta resistenza chiamata Inconel, di nichel e cromo. Da qualche anno il terminale è chiuso da una grata o reticella per evitare che nelle cadute della ghiaia possa entrare e risalire fino ai cilindri.
Nemmeno a dirlo, non c’è ombra di catalizzatore.
La prima parte della sfida nel costruire un sistema di scarico sta nello stress che deve sostenere.
Vista la temperatura dei gas di scarico, i collettori possono raggiungere facilmente i 900 gradi, temperatura che scende mano a mano che si va verso il terminale, ma non più di tanto. Ecco perchè gli interni delle carene sono rivestiti di materiale riflettente argentato e con uno spessore isolante, o perchè i piloti lamentano il calore che esce dal motore. Fa decisamente caldo là sotto.
Mi è capitato di vedere dal vivo una Moto2 su un banco prova, quindi senza l’aria che scorre a raffreddare i collettori, ma solo un grosso ventilatore. Lo scarico era arancione luminoso dalle teste dei cilindri fino a metà strada, quindi una quarantina di centimetri. Certo non è il caso d’uso comune, ma i materiali possono reggere fino a quel punto.
Altra cosa impressionante: la pressione interna può raggiungere i 5 bar.
Per dare un’idea: le gomme di un’auto si gonfiano intorno a i 3 bar. Quelle di una bici da corsa dai 6 bar in su. Ma lo scarico non è chiuso! Questo da’ l’idea della velocità di flusso dei gas che escono dopo la combustione.
Ultimo dettaglio: la MotoGP ha un limite di pressione acustica regolamentare, ed è di 130 dBA, più o meno come un martello pneumatico, ma in sostanza è come se fosse libero, dato l’alto livello, il che spiega come mai i piloti mettano i tappi per le orecchie.
Ma quello che è chiamato a fare uno scarico MotoGP è più di resistere alle sollecitazioni. Il suo design ha lo scopo di ottimizzare potenza, coppia e freno motore.
Come è possibile? Lo scarico non dovrebbe essere un sistema per fare uscire i gas semplicemente il più presto possibile?
Non è così semplice, perchè la fluidodinamica dei gas di scarico è complessa. Prima di tutto l’estensione dei giri dei motori MotoGP è mostruosa, hanno un limitatore tra i 16000 e i 18000 giri, e un range utilizzabile di oltre 10000 giri. Solo che gli scoppi, visti al rallentatore, sono isolati, e producono flussi di gas intermittenti. Questi scoppi intermittenti generano dei “treni d’onda” che posso avere effetti indesiderati. Questo aspetto era molto importante nei motori a due tempi che hanno scoppi a frequenza doppia, ma non sono trascurabili anche nei quattro tempi, specie a regimi di rotazione così estremi.
Avete presente quando in autostrada si trova coda, ma poi magicamente si scioglie senza che ci fossero incidenti o cantieri? Ci sono studi che dicono che le auto si comportano come particelle di gas, e se si marcia troppo vicini, con la tendenza a inchiodare appena l’auto davanti frena, si creano delle onde di accelerazione e frenata, che rallentano il flusso complessivo. Per essere più veloci, si finisce ad essere più lenti.
E qui veniamo a quella che è una regola che sembra un po’ inspiegabile ma che si sente citare spesso: uno scarico corto serve ad avere più potenza massima, uno scarico lungo invece ad avere più coppia. Come mai?
Partiamo dallo scarico corto. Lo usa Ducati per i due cilindri anteriori. Lo scarico passa sotto ma si ferma con il terminale davanti al forcellone posteriore. L’altra coppia di cilindri ha un percorso che porta fino alla coda della moto. Yamaha aveva fino allo scorso anno un 4-in-1 che terminava nello stesso punto, ma ora ha allungato fino alla coda, come anche KTM. Lo scarico corto aderisce alla filosofia del “prima faccio uscire i gas, meglio è” ovvero nella metafora dell’autostrada, non c’è quasi spazio per fare coda.
Allora perchè avere scarichi più lunghi? Perchè una MotoGP non usa quasi mai il picco di potenza, l’elettronica sta tagliando quasi sempre tranne che per pochi secondi al giro, e la differenza si fa con l’erogazione, per avere una spinta regolare, intuitiva per il pilota e che non distrugga le gomme.
Uno scarico ha una proprietà fisica: i gas che lo attraversano fanno attrito sulle pareti, più è lungo più questo attrito sarà presente. Lo scarico lungo ha più attrito, e rende più uniforme il flusso del gas di scarico. Questo fa si che faccia più resistenza quando si sta cercando di spingere fuori il risultato della combustione ai massimi giri, vero, ma fa anche si che si crei una specie di risucchio a medi e bassi giri: il gas fluisce e aiuta a estrarre i gas dalla camera di combustione, non è il pistone a dover spingere, ma c’è pressione negativa all’esterno, generando quindi più coppia, a sacrificio di un po’ di potenza in alto. Il fenomeno dell’attrito e della pressione risultate è chiamato “back pressure” ed è noto che questa pressione si possa tarare e controllare con il diametro e la lunghezza (e la forma) dei condotti di scarico. Il risucchio risultate è chiamato “scavenging flow“.
E’ emblematico quindi che Yamaha abbia cercato di lavorare su un suo punto di debolezza, l’uscita curva, cercando più coppia con uno scarico più lungo.
Ultimo punto: la valvola di scarico. Molto visibile vicino al terminale ducati vi è una scatoletta con dei cavi, cosa fa? Serve a chiudere parzialmente in modo attivo lo scarico, in fase di rilascio. Se lo scarico rimane del tutto aperto, il flusso ha poca resistenza: si riesce a scendere di giri facilmente e si offre poco freno motore, che però è utile per controllare la stabilità della moto e a fermarla prima.
Da qui l’idea: controllare attivamente quanto sia resistente il flusso di gas espulsi in rilascio, per controllare a sua volta il freno motore. La valvola fa esattamente questo: dialoga con la centralina e gestisce la chiusura dinamica dello scarico, per rendere la moto più stabile e intuitiva. Se il tutto è gestito in modo ottimale, in sella non si deve fare nulla, se non guidare forte e in modo naturale.
Ora è più chiaro, spero: in MotoGP nulla è lasciato al caso e ogni soluzione è frutto di scelte e di compromessi, sempre con lo scopo finale di andare più forte possibile, nel modo più consistente possibile.