La MotoGP è stata venduta a Liberty Media. Però sui social è scoppiata una bomba di pessimismo che è andata subito a giudicare il lavoro dell’azienda statunitense, che ancora deve cominciare. Ma davvero pensate che con LM le cose cambieranno così tanto?
A partire da Austin la MotoGP non sarà più la stessa. O forse sì. Sui social sicuramente non è stata presa con entusiasmo la notizia dell’arrivo degli americani nel paddock del mondiale. Il motivo principale è sostanzialmente uno solo: il fatto che gli stessi americani abbiano già la Formula 1 nel proprio portfolio. Infatti, Liberty Media è proprietaria e detentrice della Formula 1 dal settembre 2016 e da quella data il mondiale di auto ha cambiato completamente volto. La paura principale di tantissimi è quella che a partire dal prossimo Gran Premio delle Americhe, in calendario settimana prossima (13-14 aprile), vedremo una MotoGP Formulaunizzata.
Gare con DRS e Pitstop. Con team radio e strategie. Una MotoGP che entro qualche anno vedremo sfrecciare tra i muretti di un circuito cittadino. Se siete tra le persone che vedono l’arrivo di Liberty Media così questo articolo fa per voi. Perché (alert spoiler) non sarà così.
Prima di tutto, Dorna non se n’è andata. Nel comunicato pubblicato dalla MotoGP si legge come Liberty Media abbia acquistato quasi l’86% delle quote della MotoGP ma Dorna rimanga con quasi il 14% del patrimonio netto del suo business. Carmelo Ezpeleta è stato confermato amministratore delegato (lo è dal 1994) e rimarrà nella sua posizione continuando a gestire l’attività con il suo team. L’azienda rimarrà con sede a Madrid. Ricapitolando, almeno a breve termine, dal punto di vista gestionale non cambierà quasi nulla.
Per quanto riguarda il format di gara puro, non avremo stravolgimenti. Il weekend rimarrà pressoché identico, con le stesse sessioni e le stesse categorie. Non per forza se arriva un nuovo proprietario che, come in questo caso, possiede già un’altra competizione motoristica trasferirà le proprietà di un campionato all’altro. Non è una partita di ping pong. La stessa Liberty Media non ne ha interesse. Sarà impossibile vedere (almeno a oggi) una MotoGP con DRS, Pitstop, team radio e altre cose prese e rovesciate disordinatamente sul tavolo. Perché, in caso, potrebbero dire la stessa identica cosa i fans della Formula 1, che invece non hanno sollevato una sola polemica.
Quello che andrà a cambiare in MotoGP con l’arrivo di Liberty Media non è in pista, ma è in quello che ci sta intorno. Probabilmente avremmo qualche posto in più per andare a fare le gare, soprattutto negli USA, mercato in cui Liberty Media ha l’obiettivo di portare la MotoGP. Assolutamente no i circuiti cittadini, anche perché le moto non sono le auto e diventa determinante il tema della sicurezza. Le moto hanno bisogno di piste con larghissime vie di fuga. Una gara di MotoGP in un circuito cittadino come Baku o Montecarlo non è proprio pensabile. Anche perché c’è già il Tourist Trophy sull’isola di Man.
Con Liberty Media avremmo una MotoGP più presente e maggiormente attenta sui social. L’impatto mediatico che ha reso la Formula 1 ancora più seguita negli ultimi anni è dovuta a una serie TV in collaborazione con Netflix Drive to Survive. Una serie in cui la Formula 1 viene raccontata a episodi, stagione dopo stagione. È questo quello che manca alla MotoGP. Un approccio mediatico capace di attirare i giovani e il pubblico. La Formulaunizzazione tanto temuta non deve avvenire (e non avverrà) in pista ma sui social. Questo Liberty Media lo sa. Non sarà difficile vedere per esempio un’altra serie che racconti la MotoGP. Ride to Survive. Oppure trovare tra i corridoi del paddock ancora più VIPs pagati e invitati per fare pubblicità (specialmente sui social) all’ambiente.
L’arrivo di Liberty Media in MotoGP (come in WorldSBK) deve essere trattato come un progresso. Un passo in avanti dove Dorna ha fallito. Gli americani si occupano del brand, la parte sportiva rimarrà nelle mani di Carmelo Ezpeleta e il suo team. E nel frattempo la società spagnola si è presa 4 miliardi di euro. È un accordo in cui ci guadagnano tutti. Appassionati compresi.