L’aerodinamica è diventata un tema sempre più presente in MotoGP, ma spesso è stato trattato in modo superficiale o fazioso. Voglio provare a trattarlo in una maniera un po’ più precisa, in questo articolo e nei prossimi. Innanzitutto segnatevi tre parole, perchè torneranno spesso: Carico, Turbolenza, Attrito. Sono le tre parole chiave per capire la rivoluzione che ha investito la MotoGP negli ultimi anni. E’ un tema molto discusso, ma spesso in modo vago, senza capire bene i dettagli e le implicazioni, anche perchè l’applicazione al mondo della moto è relativamente recente, e le soluzioni stanno ancora evolvendo ad una velocità notevole.
Col senno di poi, è strano che non ci si sia arrivati prima, d’altronde in F1 le ali sono spuntate negli anni ’60, le “minigonne” negli anni ’70. Da allora l’evoluzione è andata avanti in modo costante fino ad oggi. Ma il mondo delle moto da gran premio è complesso, girano meno soldi, e il fattore umano fa più differenza, anche l’elettronica è arrivata 15 anni dopo che in F1. Ma ora è qui, e regolamenti permettendo, rimarrà. Certo, si era visto qualche esperimento come su una MV Agusta nel 1972, con delle ali che oggi sembrano retrofuturistiche, ma erano tentativi senza seguito.
Per capire a cosa serva lo zoo di ali, deflettori, alette che popola le MotoGP di oggi, facciamo un passo indietro diciamo al 2010: le moto, aerodinamica a parte erano molto simili, stessa cilindrata, potenze simili (allora si era oltre i 250cv, oggi si vocifera si sfiorino i 300), stessi limiti. Una MotoGP al Mugello esce dall’ultima curva, la Bucine, un lungo appoggio verso sinistra. Il pilota apre il gas e si lancia sul rettilineo. Senza elettronica (anti-impennata, traction control) la moto impennerebbe in modo selvaggio, e pattinerebbe di potenza distruggendo la gomma. In uscita curva solo una frazione della potenza è realmente erogata, e il pilota dà gas lasciando lavorare la centralina, che decide quanto gas realmente dare. Raggiunge lo scollino che ad occhio è quasi impercettibile ma che fa comunque impennare un po’. Il rettilineo vola in pochi secondi e arriva la staccata della San Donato, che è una delle decelerazioni più violente del campionato. Lì il limite è il grip della gomma anteriore, e la soglia di potenza frenante che faccia caricare l’anteriore, ma senza innescare uno “stoppie” incontrollato. Se strizzassero il freno anteriore al massimo i piloti finirebbero oltre i seminanubri. Poi si rilascia il freno gradualmente, e si inserisce in curva, una destra a salire dove l’anteriore è portato al limite del grip.
Intorno al 2014 Gigi Dall’Igna deve aver guardato la sua Ducati fare esattamente queste cose, ma mentre tutti vedevano la norma, lui intravedeva il futuro.
Il futuro (oggi presente) della MotoGP secondo Gigi Dall’Igna
Se la moto non riesce a scaricare potenza in uscita curva, perchè l’elettronica lavora tagliando potenza per non farla impennare, cosa si può fare? La risposta arriva nel 2015, sulla Ducati spuntano delle ali il cui compito è generare carico, ovvero una forza verso il basso, che non faccia impennare la moto. Se la moto impenna meno, l’elettronica lavora di meno, e si scarica più potenza a terra. Ma non è così semplice. A medie e basse velocità le ali riescono a fare poco carico, mentre alla velocità massima possono produrne anche alcune decine di kg. Uscendo dal Correntaio quindi, le ali creano una forza che schiaccia il muso mano a mano che la moto accelera. Ma le ali non limitano la velocità massima con l’attrito? In teoria, si. Ma in pratica, no. Questo perchè una MotoGP alla fine del rettilineo del Mugello sta ancora accelerando. Non ha ancora raggiunto la velocità in cui attrito e potenza si limitano. Quindi si può permettere di “sprecare” un po’ di potenza ad alta velocità perchè ha potuto usarne di più prima, nella fase cruciale di accelerazione. E poi, per anni ai motoristi è stato detto “basta potenza, ci serve erogazione più regolare”. Se ora l’erogazione è gestita dall’elettronica, e si può usare potenza extra, ci sono decimi da guadagnare sul giro.
Arriviamo alla staccata. Le ali sono a massimo carico, a 350km/h premono il muso con forza verso il basso. La moto è molto più stabile. Frenare non perfettamente dritti da’ più fiducia, specie nella fase iniziale della staccata. E credetemi, vedere arrivare una MotoGP alla San Donato è uno spettacolo bellissimo e spaventoso al tempo stesso. Pare assurdo possa entrare così forte, rallentare e piegare, come se niente fosse.
Dai primi esperimenti con le ali in Ducati ci sono state molte evoluzioni: Aprilia si è attivata. Si parla spesso del ruolo di Massimo Rivola e del suo passato in F1, che deve avere certamente portanto idee e soluzioni. Anche a livello di regolamento ci si è attivati: le ali anteriori hanno una larghezza massima e devono avere un bordo esterno arrotondato (stranamente la coda ad oggi non è regolamentata invece!) e si possono avere solo due pacchetti aerodinamici in tutto l’anno, al di fuori dei test. Le soluzioni sono state copiate ed evolute da casa a casa, ma ci sono ancora differenze grandi tra i costruttori.
Ma è tutto fantastico? Non ci sono svantaggi a parte il gusto estetico di chi non gradisce l’aspetto delle MotoGP di oggi? No, ci sono una serie di aspetti che è interessante coprire. Il primo è che i piloti, in modo unanime, dicono che le moto sono diventate più “fisiche”, più difficili da guidare. Più veloci, si, ma più “dure” da far piegare. Questo è chiaro: ci sono più forze in gioco, la moto è schiacciata a terra nella parte anteriore e cambiare angolo mano a mano che le velocità crescono è sempre più difficile. Ma gli ingegneri guardano i piloti e fanno spallucce: “io posso darti una moto con del potenziale, sta a te sfruttarlo”. Oggi i piloti sono atleti di altissimo livello, ed essere in forma, avere forza con poca massa muscolare è importante per gestire la fatica di gare da oltre 20 giri e sprint race il sabato.
Un aspetto meno evidente invece è come interagiscano le ali con l’abbassatore arrivato da ancora meno tempo: sempre Ducati ha introdotto nel 2018 un sistema meccanico che abbassa a comando del pilota la sospensione posteriore, e che si riposiziona normalmente alla prima staccata. Questo fa scendere di qualche cm il centro di massa, e fa caricare il posteriore. Risultato: più grip e meno tendenza all’impennata. Fantastico, ma se la moto si abbassa inclinandosi indietro (l’abbassatore anteriore si usa solo in partenza) tutta la moto si inclina indietro di qualche grado, ali comprese, che quindi hanno un angolo di attacco inferiore rispetto al flusso d’aria, e generano meno carico. Forse anche per questo le dimensioni delle appendici sono aumentate nel tempo, in alcuni casi dividendosi in vari profili alari, per compensare e ottimizzare il comportamento dinamico della moto. Come tanti aspetti delle MotoGP, è una serie di compromessi tra necessità anche contrastanti.
Ma le ali in curva aiutano?
Ad angoli di piega fino a 45° quindi da moto dritta a moto abbastanza piegata, le ali spingono verso “giù”, ma se la moto piega le forze vanno “scomposte” per capire come lavorino. Quindi si passa da una forza che va solo verso il basso, ad una coppia di forze che spinge verso il basso, e verso l’esterno curva. A 60° di piega la forza che spinge a esterno curva ha superato quella che preme verso il basso. Le ali spingono più “fuori” che “giù”. E questo non va bene. Ora, una MotoGP è tenuta in piedi dal grip delle gomme, ed avere una forza che spinge non dentro la curva, ma fuori, è decisamente poco desiderabile. Ma allora perchè ci sono le ali? Se aiutano in rettilineo ma sono in teoria dannose in curva? Prima di tutto perchè il guadagno in accelerazione e frenata è superiore alla perdita in curva. Non dimentichiamo che le forze sono proporzionali alla velocità, e in curva si va meno veloci che in rettilineo, molto meno. E poi stiamo vedendo alcuni costruttori che stanno esplorando delle forme di ali, come quelle di Aprilia, che hanno una piega “a baffo”. Anzi in realtà se ci fate caso anche KTM e Honda hanno uno dei due profili alari anteriori non orizzontale, ma piegato verso il basso: perchè? Se guardiamo una Aprilia in piega l’ala esterna è quasi orizzontale. Spinge più in giù che fuori, anche in piega. Mentre quella interna è ovviamente molto inclinata, e dovrebbe spingere quasi del tutto verso l’esterno, per compensazione. Ma c’è un ma. Il pilota in piega non è al centro della moto, ma è appeso all’interno della curva, ed è messo proprio dietro l’ala. Alcuni analisti suggeriscono che mentre l’ala esterna, che spinge dando grip, abbia un flusso pulito e possa lavorare al 100%, quella interna, con subito dietro la sagoma del pilota, perda di effcienza, e non possa spingere in modo eguale verso l’esterno. Risultato: più grip anche in curva.
Molti citano le analogie con la F1, ma le MotoGP fanno qualcosa che le auto non fanno: piegano, si impennano, hanno cambi di assetto enormi in pochi secondi. Ecco perchè l’analogia vale quel che vale, e se il regolamento rimarrà abbastanza permissivo vedremo ancora evoluzioni strane, interessanti, e soprattutto utili all’unica cosa che importa: andare forte. Ma sul terma tornerò nel prossimo articolo. Restate sintonizzati su PoleGP.it.